SportivamenteInsieme asd CANOTTAGGIO

Scuola Canottaggio e Dragon Boat presso il Circolo Sportivo Rai – Roma

Canottaggio

Roma Ostia a remi, di notte

Che ci fa un gruppo di matti alle 2 e mezza di una notte d’estate sotto ponte Marconi? semplice, affronta la discesa del Tevere fino alla foce. Io ero fra quei pazzi che a un’ora improbabile hanno dato vita al viaggio al chiaro di luna da Roma a Fiumicino, dal fiume fino al mare. Niente di romantico, ma un’avventura in piena regola. Una sfida. Almeno per me. Me l’avevano detto tutti quelli che l’avevano già fatta in passato che era un’ammazzata di fatica, che non si arriva mai e che per chilometri non si vede null’altro che vegetazione. Alla Vogalonga di Venezia è molto più eccitante, ci sono le isole, il pubblico che ti incoraggia lungo il percorso, l’emozione di partire fra San Marco e San Giorgio, passare per Murano, arrivare a Cannaregio fra l’applauso dei turisti che prendono l’aperitivo e sentirsi ripagati di ogni fatica, fino alla Chiesa della Salute e alla fine del Canal grande. Lungo il Tevere di notte, da soli, niente di tutto questo. Solo una grande fatica. Ore ai remi. Me l’avevano detto che era così. Ma lo spirito di chi rema – almeno per me – è sempre quello di spingersi un po’ più in là. Nello spazio del fiume o di una laguna e in quello mentale delle proprie risorse. Esplorando le riserve del corpo e la capacità di resistere alla fatica, ma soprattutto sfidando se stessi. A farla breve saremmo dovuti partire alle 2 e mezza o poco più tardi. Invece – non so perché – c’è voluto molto di più. Un’oretta almeno per mettere in acqua una vecchia barca da mare – un coastal mi sembra- e la gig. Io ero sulla prima e all’inizio mi è sembrata la barca peggiore, più faticosa. Però mi toccava quella e su quella sono salita. L’imbarcadero a Ponte Marconi non è per niente agevole. In un angolo, sotto al ponte con la barca messa di traverso. Poi di notte…al buio. Insomma alla fine fra tira!, spingi!, metti un piede là, stai attento e occhio!!! eravamo pronti. Era estate, ma faceva freddo. Sopra di noi le luci di ponte Marconi e le macchine continuavano a correre senza accorgersi di nulla. Solite masserizie da barca di lunga distanza, viveri, qualche indumento di più. Sicuro qualcuno era pure attrezzato con la sacchetta trasparente e impermeabile per il telefono. Ma che ce fai col telefono in barca? Boh! Si parte. Nella mia vecchia barca due donne e due uomini, mi sembra che io fossi a capovoga, ma il ricordo sfuma un po’ e non ne sono proprio certa. Al timone c’era Simona. ‘Na garanzia. I primi colpi di remo agevolati dalla corrente, che sotto il ponte è forte e poi via. Io abito lì vicino, conosco bene in quali zone si snoda il fiume verso il mare. Certo è tutt’altra cosa vedere da sotto le strade in cui di solito passi a velocità sostenuta o in nell’estenuante passo d’uomo delle eterne code della Roma-Fiumicino. Da sopra il fiume quasi non si vede. Devi girare lo sguardo un attimo per carpirne un po’ del luccichio o dell’andare lento e marroncino delle acque. Da sotto, e sulla barca, hai tutto il tempo per guardare. Ma la dimensione è differente. Dimensione di spazio, di tempo dilatato e oltre ogni altra cosa, dimensione sonora, scandita dai colpi dei remi nell’acqua. Dai richiami del timoniere ‘Tempoooo!’. Dopo il ponte della Roma-Fiumicino si arriva abbastanza rapidamente alle campate del viadotto Morandi, che però non scavalca il fiume, lo costeggia e lo illumina con i suoi fari colorati. Da una parte la Roma-Fiumicino, dall’altro i prati e in lontananza la ciclabile. E’ notte fonda ancora. E pian piano ci si avvicina al ‘drizzagno’ del fiume, all’altezza del Raccordo anulare. Lì i ponti sono due. Quello antico che un tempo – ho scoperto poi – era dotato di un meccanismo ed era girevole, e quello nuovo – enorme – che sulle sue spalle porta l’enorme traffico di una delle due direzioni del Raccordo anulare, novello ercole dei nostri tempi. Il’ drizzagno’ merita due parole a parte. In quel punto ai tempi del Ventennio fascista, il fiume scorreva così lento da impaludarsi. Mussolini sognava di fare l’esposizione universale all’Eur e di realizzare un aeroporto a Mezzo Cammino, più o meno all’altezza dell’attuale Raccordo anulare. Sul fiume, avrebbero dovuto viaggiare battelli per portare i visitatori in città. Ecco il perché del ponte girevole di cui esiste ancora l’edificio che ospitava il meccanismo per far passare le barche a vela. Ma era necessario raddrizzare l’asta del fiume. Fu scavato un nuovo letto e poi fatta defluire l’acqua, il ‘drizzagno’ appunto. I ponti sul Raccordo, i barconi del ‘centro Anaconda’ dove c’è un allevamento di anguille (ma questo lo avrei scoperto in una nuova discesa, l’anno dopo) sono tutte tappe che si raggiungono abbastanza agevolmente. Il canottiere vede qualcosa, si distrae e alla fatica non ci pensa. Il fatto è che a un certo punto, abbastanza presto, si rompe lo scalmo di Agata che rema dietro di me. Remiamo in tre. La fatica aumenta. Ma zitti e remare. Lei però ha freddo, non è coperta a sufficienza, pensando che si sarebbe scaldata remando. Allora ecco l’idea. Io sfilo un remo, e ne uso uno, lei usa quello opposto, l’unico che le è rimasto e ‘sto barcone procede con due che remano di coppia e due che improvvisano una strana remata di ‘punta’. Insomma non ci si può vedere. Quando ho rivisto le foto, combinata com’ero, stravolta dalla fatica ho pensato: ‘speriamo che non mi riconosca nessuno!’ Dall’altra barca che va più veloce e rema più agilmente, rallentano il ritmo. Sta facendo chiaro. E’ l’ora di tentare il sorpasso. Simona si ‘ingarella’ e ci spinge a metterci un po’ più di forza. Ce la mettiamo, quella poca che abbiamo nelle gambe. Quasi li riprendiamo, ma niente, restano avanti a noi. Si vedrà all’arrivo al mare, però. Da quando fa giorno il silenzio si fa intenso. Non c’è più niente che ci distragga, tappe riconoscibili da superare. Solo una sponda verde, in lontananza le bici della ciclabile. Nient’altro. Comincia a fare caldo. Quando vediamo le prime barche ancorate lungo il fiume, penso: ‘E’ fatta! Siamo alla foce! Già mi vedo a scendere, a raccontare l’avventura…. Non è così. Dalle prime barche al mare c’è un’eternità. Per di più Simona tenta di leggere su una cartina la deviazione che deve imboccare per percorrere il tratto di fiume che sfocia all’Idroscalo, il luogo desolato dove vivevano uomini abbandonati da Dio e dai loro simili, nel quale ha trovato la morte uno dei più lucidi intellettuali del suo tempo, Pierpaolo Pasolini. Strano questo pensiero che mi viene mentre remo. L’Italia non voleva vedere ciò che Pasolini leggeva tanto chiaramente nella realtà? L’Italia non ha saputo capire davvero chi l’ha ucciso. E’ questo che ci rende sempre incompiuti come Paese. Non esserci mai raccontata la verità fino in fondo. Sto divagando, se mi distraggo la mia esile tecnica di voga ne risente. Mi rimetto sotto. E remo, remo, remo. Tutta storta per usare un solo remo su una barca di coppia. Fino a quando non ce la faccio più. E mi reimpossesso dei miei due. Dietro, la compagna non ha più la forza di dire nulla. La barche ancorate lungo la riva, i piccoli cantieri navali, ve lo dico io, durano per chilometri. Ormai è chiaro, non ce la facciamo più. Finiti gli scherzi, i lazzi, le battute. Zitti e remare. Manca poco, mi dico. E penso: ‘Ma chi me l’ha fatto fare? Me l’avevano detto che era solo verde per chilometri, che non c’erano punti di riferimento. Ma intanto, zitta e remo! Quando alla fine, ormai allo stremo, Simona intravede il mare, penso: Ok, ci siamo, ce l’abbiamo fatta! Macché. Se avventura doveva essere, avventura è stata fino in fondo. Non avevo fatto i conti con la corrente che entra nel fiume, le onde che fanno salire e scendere la barca, la forza del mare che ci rimanda dentro, quando noi vorremmo uscire fuori. Un parto, insomma. Ce ne vuole del bello e del buono per vincere la corrente contraria e finalmente arrivare al mare. Il nostro barcone però si rivela la scelta azzeccata. La gig imbarca acqua, noi siamo più stabili in mezzo alla corrente. Tutt’altro affare che scivolare placidi sul fiume. Come fu, come non fu, ce l’abbiamo fatta ad arrivare a riva, azzeccando il passaggio fra gli scogli e finalmente scendendo a riva. Non so chi aveva portato i cornetti, mai tanto apprezzati! Ad aspettarci Paolo e Debora col carrello. Ultimo immane sforzo, rimetterci sopra le barche. E’ dura, molto dura. Alla fine hai le vesciche alle mani e le gambe che non te le senti più. Se vi propongono la discesa del Tevere a remi, non lo fate. Date retta a me, è ‘na faticaccia! Valeria Manna

  1. paolo

    ….dissento sul finale, non vedo l’ora di poterla rifare!!!!

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